Alberto Angrisano è uno dei doppiatori italiani più versatili, lo troviamo, infatti, impegnato in film italiani ed internazionali, in serie tv ed in tantissimi cartoni animati.
Di certo è uno dei doppiatori più interessanti anche perché, da attore, si è formato con grandi maestri.
Con lui abbiamo scambiato quattro chiacchiere e ci siamo immersi appieno nel mondo del doppiaggio.
Dopo il diploma preso alla scuola di Casagrande ha lavorato con grandi interpreti come Lavia, con il quale ha esordito e Rigillo.
Cosa ha imparato da questi grandi artisti?
Ho avuto la fortuna di lavorare con Lavia per tre anni e soprattutto con Antonio Casagrande;
quest’ultimo alla fine del secondo anno di scuola mi disse: ”Alberto tu devi lavorare, lavora con noi” e così ho debuttato in uno spettacolo in una giornata molto particolare.
Fu il giorno in cui morì Stefano Satta Flores ricordo che alla fine della prima ci fu l’omaggio, con un minuto di silenzio, nei confronti di questo grandissimo artista.
Da loro ho imparato innanzitutto la disciplina perché per fare teatro ci vuole una grandissima disciplina, ci sono lunghe ore di attesa dietro le quinte.
Se si ha la fortuna di poter lavorare con grandi maestri e rubare il lavoro impari come si sta in scena.
Ho imparato il rigore, con loro ho imparato veramente come si affronta un personaggio, come lo si gestisce.
Del resto se hai la possibilità di lavorare con grandi come Lavia devi per forza imparare il mestiere altrimenti non è quello che fa per te ed è bene cambiare.
Angrisano, come è diventato doppiatore?
Avevo preso un impegno con me stesso quando ho cominciato a 20 anni che se entro i 33 anni di vita non avessi avuto almeno un ruolo da coprotagonista avrei dovuto cercare altro.
Devo dire che quelli erano anni fortunati per noi teatranti, guadagnavamo tanto, ma ho anche dissipato i guadagni come accade spesso quando si è giovani.
Nel 1996 parlai con Lavia scusandomi per il fatto che non avrei continuato a lavorare con loro perché volevo un cambio di marcia e lui mi disse che conosceva bene Rodolfo Bianchi e
che mi avrebbe fissato un incontro con lui.
Quell’ incontro con Bianchi è stato per me fondamentale perché lui mi ha fatto capire come dovevo cambiare per fare il doppiatore.
Ho lavorato tanto, passo dopo passo, ora dopo ora, non guadagnando nulla se non per piccole cose, e ho cominciato a fare il doppiatore.
Sono diventato doppiatore, ovviamente, ascoltando i grandi maestri, avvalendomi anche della presenza di
una persona a cui sarò sempre molto grato che è Renato Cortesi che considero il mio maestro in assoluto.
Lui, alla sua scuola di Napoli, mi ha detto che era il mio mestiere, cucito addosso per me e, parliamo di anni in cui si doppiava ancora con videoregistratore e con televisore.
Ho cominciato a salire i gradini e, ancora altri ce ne sono da salire, non mi considero di certo una persona arrivata,
per giungere al punto in cui sono dove sono riconosciuto ed apprezzato.
Si può intraprendere il mestiere del doppiatore senza essere attori?
Sono veramente felice di insegnare perché considero l’insegnamento una esperienza che arricchisce sia i docenti che i discenti,
mi riferisco all’energia dei ragazzi, alla grande capacità che hanno, non tantissimi ma parecchi, di approcciare a questo mestiere.
Ma ai giovani dico che per fare questo lavoro bisogna essere attori perché il doppiaggio non è semplicemente un copia-incolla di quello che fa l’attore sullo schermo;
l’attore per fare un personaggio lo ha sentito il personaggio, ha usato una tecnica per farlo, ha un’espressività che solamente un attore di teatro o un attore in genere possono avere.
Non si può riportare semplicemente con la voce perché l’arte del doppiaggio è veramente la più difficile in assoluto.
L’attore di teatro usa i costumi, le movenze, ha la scenografia intorno, quelli che lavorano in tv hanno il trucco e parrucco,
il doppiatore, invece, non ha orpelli perciò dico che la condizione necessaria e imprescindibile è essere attori per fare i doppiatori.
Angrisano quanto è difficile dare voce ad un personaggio di un cartone animato, visto che lei ne intrepreta davvero tanti?
I cartoni animati sono, secondo me, il banco di prova più complicato per un doppiatore per due motivi perché sono cartoni e
sono sempre abbastanza come dire estremizzati, i personaggi dei cartoni sono veramente complicatissimi;
c’è la caratterizzazione del personaggio per cui la voce va sporcata in un certo modo, vanno usati dei toni bassi che non sono umani.
Mi sono divertito da morire a fare doppiaggi di cartoni perché è faticoso e si esce da un turno di cartoni animati come se ci fosse passata addosso una valanga,
però poi la soddisfazione è tanta.
Esiste una differenza tra doppiaggio per un film, una serie, un cartone oppure no?
Il cartone è in assoluto quello più faticoso, ma il punto è che tutto ciò che viene doppiato è fatto da attori che sono più bravi o meno bravi;
doppiare un film dove un attore è bravo è una passeggiata perché l’attore già ci conduce per mano.
Se si doppiano personaggi che parlano lingue come il cinese, il giapponese, il coreano, la difficoltà aumenta?
Si, le lingue come il cinese o giapponese, il fiammingo sono davvero complicate, ma per me lo è anche il francese.
Non me ne vogliano i francesi che realizzano commedie meravigliose che io spesso ho doppiato
ma non riesco a stare al passo dei francesi che sono delle mitragliatrici.
I giapponesi, i cinesi emettono i suoni ed è davvero difficile seguirli nonostante sentiamo sempre in cuffia
perché comunque abbiamo una cuffia anche mentre incidiamo che ci dà la possibilità di attaccare al momento giusto di finire al momento giusto e di seguire il ritmo dell’attore.
Sicuramente è molto, molto, molto più complicato.
Come è cambiato il mestiere con la pandemia?
Beh il mestiere con la pandemia è cambiato. Io, in tempi non sospetti, mi sono creato nel mio appartamento una stanza dei giochi in realtà dentro ci sono gli strumenti perchè suono e
l’ho adibita a sala di incisione; è chiaro che non posso fare doppiaggio da casa però per esempio gli audiolibri, gli spot della RAI e tutti gli spot nazionali e internazionali li registro da casa.
Il lavoro è cambiato perché ormai non lavoriamo più in coppia, siamo sempre da soli in sala,
quando finiamo il nostro turno entra un altro collega trascorso almeno un quarto d’ora e dopo la sanificazione.
Non c’è più rapporto, è aumentata la difficoltà ed è richiesta molta più attenzione, molto più ascolto da parte del doppiatore a quello che ha fatto
e che consegneremo al collega che verrà dopo di noi.
Lei è di Napoli trova i giovani di questa città più dotati, da un punto di vista artistico, o come gli altri?
ll popolo napoletano è un popolo che ha un grande orecchio, ha un senso dell’arte, una teatralità immensa.
Io definisco noi napoletani le formiche del mondo perché siamo dappertutto nel cinema, nella televisione, nel doppiaggio.
Siamo un popolo geniale probabilmente perché siamo il risultato di tante commistioni di culture siamo stati dominati da turchi, spagnoli francesi.
Sono convinto della loro, delal nostra, marcia in più ma napoletani sono indolenti, per loro perdere l’accento è una cosa dolorosissima ma invece l’accento va perso.
Il mio maestro Renato Cortesi mi diceva tu hai avuto davvero la capacità di sciacquare i panni in Arno e non è una capacità, ma è un impegno.
Il dialetto è una cosa che considero, sono fiero di essere napoletano e non si deve cancellare il proprio dialetto,
ma si deve imparare a parlare anche un altro modo conoscendo gli accenti della lingua italiana. In ogni caso i napoletani hanno sicuramente una marcia in più.