Antilena Nicolizas è una doppiatrice professionista che si è formata all’interno della nostra Accademia. In questa intervista la conosciamo meglio attraverso il racconto della sua esperienza, sia all’interno dei nostri studi che nelle sale di doppiaggio.
D. Com’è nato in te il desiderio di diventare doppiatrice?
R. Il desiderio di provarci seriamente è arrivato solo durante il corso di doppiaggio. Venivo da tutt’altro ambiente e, in un momento di indecisione sul da farsi, ho scelto di staccare la spina facendo qualcosa di completamente diverso. Senza nessuna pretesa o aspettativa, come un anno sabbatico. Ho saputo dell’esistenza dell’Accademia per puro caso e ha destato subito in me un’enorme curiosità, amavo il doppiaggio da sempre e ignoravo completamente quale fosse l’iter per diventare doppiatore. Mi ci sono perciò affacciata unicamente con spensieratezza e voglia di fare nuove esperienze: non mi sarei mai aspettata di vederlo diventare il mio lavoro. La vita a volte è davvero imprevedibile! Guardandomi indietro, anche se inconsapevolmente, direi che a conti fatti è stato l’approccio migliore.
D. Racconta l’esperienza con l’Accademia del Doppiaggio e, se ti va, qualche aneddoto.
R. Ricordo le nostre lezioni, fin dai primissimi incontri, con tanto affetto e un po’ di nostalgia. Si era creato un bel gruppo e qualsiasi laboratorio e insegnante, sia prima di entrare in sala che dopo, è stato d’ispirazione. Pur avendo fatto un po’ di teatro prima, da amatoriale, venivo unicamente da un lungo percorso tra scuola di musica e conservatorio, per cui ero curiosa e affascinata nel trovare (tantissime!) analogie e punti d’incontro tra le due discipline. Soprattutto però è giusto dire che durante il corso la dose di intrattenimento oltre che di apprendimento era sempre alta, e quindi ammetto di aver imparato molto ma anche di essermi divertita tantissimo. Gli aneddoti sono quasi troppi, ma racconto volentieri della mia epopea per fare il provino: arrivai con un treno notturno dalla Puglia, convinta fosse vicino alla stazione raggiunsi lo studio a piedi (un’ora e mezza di passeggiata) e scoprii due ore dopo il mio arrivo che bisognava prenotarsi! Allora ne dovetti aspettare altre due prima di entrare e farmi ascoltare da Roberto Pedicini, il tutto per… forse cinque minuti veri di audizione. Ma ne valse la pena. Alla fine del corso invece Christian Iansante mi regalò l’esperienza di incidere un anello insieme, decisamente una cosa che non dimenticherò.
D. Raccontaci la tua prima esperienza in sala di doppiaggio.
R. Ho un ricordo forte più che altro del momento in cui ricevetti la telefonata dallo studio per fissarmi il turno. Ero con delle amiche a un bar e feci un salto di un metro! Era una piccola parte in un poliziesco, una ragazza un po’ coatta con un naso enorme che aveva trovato la vittima. Non ricordo molto altro, ma il turno andò bene anche se ero un po’ nervosa, furono tutti molto gentili. E fu anche l’occasione per conoscere quelli che ora sono amici, oltre che colleghi.
D. Quali sono state le prime difficoltà che hai incontrato e come le hai risolte?
R. Nel nostro mestiere ci si fa conoscere tramite provini, decine e decine di provini. Capita perciò che a volte vadano alla grande e altre volte meno, dipende da tante cose. All’inizio moltissime occasioni sentii di averle “toppate”, com’è giusto che sia perché nessuno nasce imparato (e questo mestiere nel bene e nel male si impara facendolo), ma la verità è che purtroppo c’è sempre troppo poco tempo, anche per sentirsi dire cosa non andava bene e quindi avere spunti su cui lavorare per migliorare.
Mario Cordova fu uno dei pochi che mi dedicò del tempo per dirmi, con grande gentilezza ma anche brutale onestà, che non mi avrebbe chiamata a lavorare, perché non ero pronta e perché dovevo ancora capire ed imparare nozioni importanti per poterlo fare. Sul momento fu durissima sentirselo dire, credo lo sarebbe stato per chiunque. Ma superata la botta iniziale, non mi scoraggiai e andai avanti. Anzi, gli sono tuttora grata perché ha innescato in me un meccanismo giusto, di reazione. Se c’è un modo per superare le difficoltà che questo ambiente ti presenta, credo sia unicamente questo: con umiltà, prendere tutto quello che ti viene detto, elaborarlo e andare avanti con maggiore decisione. Insomma, come per tutte le cose che davvero desideriamo ottenere nella vita credo ci voglia sì passione, ma anche una grande forza di volontà.
L’episodio con Mario Cordova succedeva tanti anni fa, eppure continuamente capitano situazioni in cui ti devi mettere alla prova: un direttore che non ti conosce, un prodotto particolare con conseguenti richieste particolari, magari un tipo di ruolo mai affrontato prima, e così via.
Dopo un po’ uno crede di avere imparato come si fa, ma non si smette mai di imparare a farlo. E’ un continuo spronare e spronarsi, è questo ciò che mi piace di più di questo lavoro. Come tanti miei colleghi immagino, aspiro continuamente alla possibilità di cimentarmi su qualcosa di stimolante, nuovo, anche molto difficile ovviamente. Sennò che gusto c’è?
D. Quali sono le differenze nel doppiaggio di un film, di un documentario e di una pubblicità? Come si deve approcciare un doppiatore a questi tre tipi differenti di prodotto?
R. Penso che prima di tutto sia importante pensare quali sono il messaggio che il prodotto vuole dare e a che pubblico sarà destinato (soprattutto per quanto riguarda la pubblicità), l’approccio arriverà di conseguenza. Poi ci sono chiaramente differenze tecniche quali l’emissione di voce, così come il sinc (nel film è obbligato, nel documentario se è un simil-sinc sarà meno rigido da seguire, e nella pubblicità più che di sinc si tratta di trovare un ritmo che supporti l’intensità del messaggio).
L’importante in ogni caso è che qualsiasi cosa sia, la si affronti con energia, rispetto e cura.
D. Ti sei mai immedesimata fin troppo in un tuo personaggio?
R. Diciamo che mi è capitato di sentirmi un po’ “appesantita” da alcune scene particolarmente forti.
Una fu un tentato stupro, un’esperienza che pur dovendo vivere – grazie al cielo – solo in maniera fittizia in sala, mi lasciò molto turbata anche dopo la fine del turno.
Un’altra invece ancora più intensa fu una scena in cui doppiavo una madre single che assisteva alla morte del figlio di cinque anni per una terribile malattia. Nel momento in cui si sentiva il “bip” prolungato delle macchine ad indicarne la morte, lei perdeva la testa disperata. Così il medico correva da lei a dirle di essere forte e far sapere al figlio che gli voleva bene, un’ultima volta, prima di pentirsene per il resto della vita. E’ facile intuire cosa successe dopo. Il direttore mi fece vedere l’intera sequenza che, essendo tra l’altro recitata benissimo, mi distrusse e come conseguenza mi fece piangere come un vitello. Allora prima di incidere chiesi un minuto per prendere un fazzoletto e ripulire il devasto che avevo sul viso, e invece lui mi disse: “Stai scherzando? Quando ci ricapita di usare vero mocetto di naso? Incidiamo!”. Fu devastante ma indimenticabile.
D. Ti è mai capitato di doppiare, in uno stesso giorno, personaggi molto diversi tra di loro (magari una buona da una parte e un’assassina dall’altra)? È difficile o le tue emozioni restano confinate in quel preciso momento?
R. Certo, capita quasi sempre! Ed è anche molto divertente, rende il lavoro dinamico e mai statico.
Poi dipende sempre da cosa si fa, ma bisogna imparare a circoscrivere le emozioni di un determinato personaggio o lavorazione, sennò torni a casa e non sai più chi sei. Per il momento direi che è più una questione di energie, alcuni turni ne richiedono tantissime, anche vocalmente oltre che mentalmente, e il rischio di arrivare scarichi al turno successivo è reale. Nei limiti del possibile, perché siamo pur sempre umani, non deve succedere. Per cui si impara a gestirsi.
D. Rivedi i film che doppi? Se sì, che emozioni provi quando sei nella sala di un cinema, consapevole che tutti gli altri non sanno di essere seduti vicini alla voce che stanno ascoltando?
R. Con un po’ d’imbarazzo, ammetto che vado a risentirmi. Ma sempre e solo nelle cose più importanti che faccio, per capire come sto andando, nel bene e nel male. Trovo sempre qualcosa che secondo me potevo fare meglio, ma sono anche obbiettiva e riconosco se qualcosa di buono l’ho fatto. Non ci si può sedere sugli allori, mai, ma neanche negare dei miglioramenti.
Delle persone che condividono la sala con me senza saperlo mi importa onestamente poco, perché ho solo prestato servizio – si spera nel modo migliore possibile – a un’attrice che altrimenti non avrebbe potuto essere compresa e apprezzata. Piuttosto mi emoziona molto sentirmi accostata ad alcuni colleghi illustri e straordinari, voci con cui sono cresciuta, e magari sentirmi indirettamente abbinata anche a grandi attori. Sono sempre stata una grandissima amante del cinema (eredità di mia madre, che saluto con affetto) e ancora adesso ci sono volte in cui non riesco a credere di aver preso parte, seppur nelle retrovie, ad alcuni grossi film o serie tv. Quando succede, è davvero gratificante. Vale tutta la gavetta di anni che c’è dietro.
D. Qual è il personaggio che ti è più piaciuto interpretare? E quale attrice vorresti doppiare in futuro?
R. Alice di Once Upon a Time è stato uno dei primi ruoli importanti che ho affrontato, e anche se non conoscevo bene la serie è un personaggio che ho amato da subito: strana, buffa, imprevedibile. Mi è dispiaciuto molto che fosse l’ultima stagione, ma ringrazio ancora oggi la direttrice Claudia Razzi per avermi dato questa possibilità, è stata una splendida lavorazione dal primo all’ultimo turno e ho imparato tanto.
Invece Kyra (La Biblioteca della Magia) è stata la prima protagonista che mi è capitato di fare, in una serie di magia per ragazzi che è esattamente il tipo di prodotto che da ragazzina avrei guardato tutti i giorni! Già dal primo turno, mi ero subito appassionata. Per cui grazie a Giorgio Bassanelli, il direttore, che inconsapevolmente mi ha regalato una grande gioia e spensieratezza con questo ruolo, a cui com’era prevedibile mi sono affezionata molto.
Ma mi è piaciuto moltissimo doppiare anche Ophélie in Mektoub My Love, la durissima broker Bonnie in Billions, Geraldine nell’ultima stagione di Killing Eve, Miss Fine ne La rivincita delle sfigate, la fighetta della scuola Devin in Big Mouth…
Mi ritengo molto fortunata, è impossibile citarle tutte ma ad oggi ci sono tante parti che mi sono divertita a fare, a volte piccole a volte grandi, non importa.
Non ho un’attrice preferita, ma la speranza è quella di avere l’occasione di doppiare una brava attrice in un bel ruolo. Si impara moltissimo. E ci si sente stimolati a dare tutto, per poterle rendere giustizia. Direi che è il massimo a cui un doppiatore può ambire.
D. Cosa ti piace di più del mondo del doppiaggio e cosa cambieresti?
R. Il doppiaggio, credo ormai si sia capito dalle mie parole, è un mondo che amo e di cui mi fa appassionare la dinamicità, il fare sempre cose diverse, non avere mai orari fissi e, perché no, anche scoprire piano piano qualcosa in più su di sé. Poi negli anni si sono formate tante amicizie (che per me che ho genitori e fratello lontani, sono diventate un po’ la mia seconda famiglia), motivo in più per andare al lavoro e magari scoprire di essere al turno con amici: è il massimo.
Per farci due risate, però, ecco cosa cambierei: invece di avere gli stabilimenti tutti sparsi per la città, costruirei un enorme grattacielo del doppiaggio in centro, tipo Pirellone, con ad ogni piano una società diversa, almeno tre ristoranti per scegliere dove pranzare (e non doverlo più fare correndo con il solito pezzo di pizza preso al volo), parcheggio e area relax. Niente più corse disperate in macchina o sui mezzi pubblici per raggiungere il turno! Con tanti colleghi abbiamo riso e fantasticato a lungo su quest’utopia, rendendola ogni volta più lussuosa e inverosimile (sauna, piscina, sala da biliardo, parco giochi, ecc). Il disagio degli spostamenti rimane, ma mettiamola così: come degli atleti, ci manteniamo in forma!