Silvia Barone, nostra ex Allieva e oggi doppiatrice professionista, si racconta in questa intervista alla nostra redazione. I suoi esordi, lo studio in Accademia, le prime difficoltà, il bello di questo lavoro: un viaggio nell’esperienza di chi, partendo i nostri corsi, ha trovato la sua strada nel mondo del doppiaggio.
D. Com’è nato in te il desiderio di diventare doppiatrice?
R. Ho sempre provato ammirazione per il doppiaggio. Ricordo che da piccola imparavo a memoria le scene dei film che mi piacevano (da I Goonies a Ritorno al futuro) e imitavo le voci dei doppiatori. Certo, all’epoca non avrei mai pensato che sarebbe diventato il mio lavoro. Dopo la laurea e il conservatorio avevo intrapreso la carriera di cantante lirica ma, anche se mi dava molte soddisfazioni, non mi rendeva felice. Grazie a una serie di coincidenze ho conosciuto l’Accademia del Doppiaggio ed è stato subito amore. Davanti al leggio ho pensato “questo è il mio posto”. Capita così nella vita: quando ti senti a casa, allora è la persona giusta, è il lavoro giusto, è la strada giusta.
D. Racconta l’esperienza con l’Accademia del Doppiaggio e, se ti va, qualche aneddoto.
R. È stata un’esperienza bellissima. Aver frequentato l’Accademia del Doppiaggio mi ha permesso di imparare molto. Lo dico sempre, tutto quello che so fare lo devo ai miei meravigliosi insegnanti, all’opportunità che mi è stata data. Quando sono arrivata in Accademia ero molto acerba, una “pivellina” insomma, eppure gli insegnanti hanno creduto in me, mi hanno dato la possibilità di uscire dal guscio, di provarci seriamente. Mi sono messa in discussione e, non senza fatica e inciampando ogni tanto, ho intrapreso la strada che mi ha condotta fin qui. Anche a livello umano ho conosciuto delle persone stupende, con alcune delle quali è nato un bellissimo rapporto di amicizia che dura da anni.
D. Raccontaci la tua prima esperienza in sala di doppiaggio.
R. Ho doppiato Emma, la protagonista di puntata nella serie tv Disney “Buona fortuna Charlie”. Tralasciando il diaframma ad altezza laringe e la tachicardia iniziali, il mio primo turno/rito di iniziazione è stato emozionante e la sensazione che ho provato a fine turno era pura soddisfazione.
D. Quali sono state le prime difficoltà che hai incontrato e come le hai risolte?
R. Giravo come una trottola da uno stabilimento all’altro per giorni, settimane; a volte riuscivo a fare i provini, altre volte tornavo a casa stanca e a mani vuote. Esiste un unico modo per affrontare e superare queste difficoltà: perseverare senza buttare la spugna. In fin dei conti, realizzare un sogno non è mai facile; bisogna darsi da fare, prendere le porte sbattute in faccia e trasformarle in elementi di forza per perseguire i propri obiettivi. Non è un lavoro facile e nessuno ti regala niente, come è giusto che sia.
D. Quali sono le differenze nel doppiaggio di un film, di un documentario e di una pubblicità? Come si deve approcciare un doppiatore a questi tre tipi differenti di prodotto?
R. Sono linguaggi recitativi diversi. Nel film hai un attore da seguire e al quale incollarti; nel documentario molto spesso sei una voce narrante; nelle pubblicità devi presentare e vendere un articolo come se fosse tuo. Ma per quanto differenti, c’è qualcosa che accomuna i tre generi ed è la restituzione della verità. Il pubblico deve crederci.
D. Ti sei mai immedesimata fin troppo in un tuo personaggio?
R. “Immedesimata fin troppo” non direi. Un personaggio che ho sicuramente sentito nelle mie corde è stata Olya, la protagonista del film “Why don’t you just die!”, un film russo davvero bello, un piccolo gioiello. Adoro i caratteri, forse sono i personaggi per i quali vengo scelta di più. Quando mi capitano personaggi folli o sopra le righe, sento di trovarmi nel mio mondo recitativo, forse perché non lo sono nella vita, quindi grazie a loro ho la possibilità di esagerare, di osare, di giocare, di essere altro da me. Credo che più giochi (nei limiti di ciò che vedi sullo schermo) più restituisci verità al personaggio.
D. Ti è mai capitato di doppiare, in uno stesso giorno, personaggi molto diversi tra di loro (magari una buona da una parte e un’assassina dall’altra)? È difficile o le tue emozioni restano confinate in quel preciso momento?
R. Sì, quasi sempre. Cambiare più personaggi nel corso di una giornata non mi crea difficoltà, anzi mi permette di non annoiarmi mai. È il bello di questo lavoro
D. Rivedi i film che doppi? Se sì, che emozioni provi quando sei nella sala di un cinema, consapevole che tutti gli altri non sanno di essere seduti vicini alla voce che stanno ascoltando?
R. Sì, certo. Beh, è una bella soddisfazione e non essere riconosciuta crea quel piccolo mistero che mi piace. È una delle tante cose che mi affascina di questo lavoro.
D. Qual è il personaggio che ti è più piaciuto interpretare? E quale attrice vorresti doppiare in futuro?
R. Come sopra, Olya in “Why don’t you just die!”. Al momento non c’è un’attrice in particolare che vorrei doppiare, piuttosto il mio sogno è quello di doppiare un personaggio-carattere unico in un film, uno di quelli che resta impresso nell’immaginario collettivo
D. Cosa ti piace di più del mondo del doppiaggio e cosa cambieresti?
R. Come dicevo prima, poter cambiare sempre, avere la possibilità di osare, il gioco, il mistero della figura del doppiatore, la fortuna di fare un lavoro bello che dà molte soddisfazioni e che mi diverte. Cosa cambierei? Mi piacerebbe che i tempi fossero più morbidi, che tutte le figure del doppiaggio avessero modo di fare il proprio lavoro al meglio, senza correre, senza dover rinunciare – a volte – alla qualità per rispettare delle consegne troppo prossime. Avere il tempo di dire “Voglio rifare questa battuta, perché l’ho pensata in un altro modo e credo che funzioni di più”, avere tempo per lavorare sulle sfumature e imparare sempre di più.