Una bella chiacchierata col nostro Roberto Pedicini, docente dell’Accademia del Doppiaggio che presta la sua voce per attori come Kevin Spacey, Javier Bardem e Jim Carrey. Con lui abbiamo parlato del lavoro del doppiatore, dell’insegnamento all’interno dell’Accademia e del suo impegno radiofonico, altra parte molto importante della sua vita.
Come hai iniziato questo lavoro?
Lavoravo in una televisione locale in Abruzzo, TvQ di Elia Iezzi, che conduceva un programma dove venivano intervistati alcuni doppiatori famosi come Pino Locchi, Pino Colizzi, Ferruccio Amendola, voci importanti del cinema. Io andavo a guardare queste interviste e a vedere come parlavano. Erano persone che avevano un grande carisma, l’ingrediente principale del lavoro dell’attore. Fu questo che mi colpì: non la voce, ma l’emozione che davano quelle voci. Ed è anche su questo che baso il mio insegnamento per l’Accademia, cercare di trasmettere qualcosa che ognuno di noi ha in sé. Poi c’è l’attitudine, il talento. Cosa che io probabilmente avevo, perché quando ho iniziato era come se avessi sempre saputo fare questo lavoro, mi veniva naturale, non ho mai provato agitazione ed emozione di fronte al microfono. E questo da subito: feci il primo provino a Roma, andai in sala e, dopo due giri dell’anello, chiesi subito all’assistente di togliere l’audio e lui mi disse: “Di già?”. Feci la scena subito, mi veniva facile entrare nel corpo dell’attore. Va detto che, in antitesi a questo pregio, avevo il problema dell’apparire, avevo molta timidezza, vergogna, non mi piacevo fisicamente. Andavo in soggezione, mi sentivo un bambino indifeso sotto il giudizio degli altri, giudizio che io stesso mi davo. Il doppiaggio mi permetteva di far uscire la mia anima, un’anima ricca di emozioni e sentimenti, cosa su cui ho lavorato e continuo a lavorare tanto. Dal provino di Roma, con Mimmo Palmara, è iniziato tutto. Tra l’altro non ho fatto nessun corso di recitazione e di dizione, è stata esperienza diretta. Guardavo quello che facevano gli attori a schermo e lo riproducevo. Ho un orecchio molto sviluppato, quello che sento riesco a riproporlo, ma non semplicemente imitandone la voce ma anche dando l’emozione dell’attore durante la scena.
Come vi è venuta l’idea di aprire un’Accademia del Doppiaggio e qual è il tuo rapporto con l’insegnamento?
Circa 15 anni fa io, Walter Bucciarelli e Christian Iansante andammo a cena a Pescara e ne parlammo. C’era una grande richiesta in quel momento, capimmo che si poteva provare questo percorso e, infatti, oggi siamo la scuola che ha più succursali e corsi in tutta Italia. Non è semplice, non prendiamo tutti e diventa sempre più difficile, anche perché c’è meno necessità rispetto al passato. All’epoca ero il doppiatore del momento, ma comunque mi chiedevo cosa avrei potuto insegnare a dei ragazzi, non esiste un metodo. Poi ho capito che il metodo più sincero di essere un insegnante è essere se stessi, essere veri, trasmettere agli altri quello che è stato il tuo percorso e cosa hai capito durante questo percorso. L’insegnante deve essere generoso: do tutta la mia energia. Non chiedo allo studente di essere perfetto, anche perché è lì per imparare, ma deve metterci la stessa energia, la stessa forza che do io. Non posso insegnare la passione e l’amore. Poi, ovviamente, ci sono ragazzi che hanno più attitudine e quelli che ne hanno meno, ma tutto dipende da come ci si approccia. Molti credono che conti solo la voce, ma in realtà la voce può essere solo un bel suono o un brutto suono, un suono di carattere o da protagonista. Ferruccio Amendola non aveva una voce bella, ma era molto carismatica. Bastava che dicesse due parole e lo si riconosceva subito. Lui era vero, ed è questo che devono capire subito gli allievi.
Qual è il primo consiglio che dai ai tuoi allievi?
Imparare a essere vulnerabili e disponibili. Io stesso mi sono rimesso in gioco in un laboratorio permanente di recitazione di Alessandro Prete e ho imparato un concetto primario: se noi ci mettiamo in una situazione di predisposizione all’ascolto, possiamo vivere il “qui e ora”. Quando sei vulnerabile apri il tuo petto alle emozioni, fai lavorare la tua intelligenza emotiva e creativa, non quella razionale. Quando stai girando, o sei a teatro, il regista dice “azione!”, non “pensiero”. Un attore fa questo, agisce. E noi dobbiamo iniziare a sentirci: non la nostra voce con l’orecchio, ma sentirci a livello emotivo. Questa è la vulnerabilità e, se vivi il qui e ora, rimandi quello che senti.
Un’altra parte molto importante della tua vita lavorativa è la radio. Un amore ritrovato…
Sì, due ore al giorno, su Radio Freccia. Sono da solo, in totale solitudine, senza regia e con i messaggi degli ascoltatori. Ho inventato un personaggio che si chiama Bob Revenant e il contenitore di queste due ore si chiama “Arca dell’arte e del libero pensiero”. Ogni sera affronto un tema, dalla lussuria, la vergogna, le fobie, l’amore, la fiducia, insomma tutto lo scibile delle emozioni umane, e ne parliamo. In questo modo si crea un’empatia con l’ascoltatore. Non sono tecnicamente perfetto e non sono nemmeno un figlio del rock, anche perché il rock oggi non è il mio genere preferito. Però diventa funzionale il concetto del rock, un rock che è modo di vivere. Ed è rivoluzionario. E rivoluzionario non significare diventare cattivi, brutti, ma essere aperti, disponibili in un mondo dove tutti sono aggressivi, diffidenti. Bisogna dare un’accezione positiva alla vita. Questo è quello che voglio fare in radio e sta andando alla grande, mi arrivano tantissimi messaggi ogni sera. Tutto questo mi dà una gioia e un entusiasmo grandissimi, non i soldi che di certo aiutano nelle esigenze pratiche, ma noi siamo felici solo quando facciamo qualcosa che amiamo.
Quali attori ti hanno messo più in difficoltà?
Tecnicamente Jim Carrey. E l’attore più faticoso da doppiare, anche se in questo momento non sta lavorando a causa di gravi problemi personali. A volte mi sono capitati dei cartoni animati difficili, come ad esempio Megamind. A livello recitativo Javier Bardem e Kevin Spacey sono quelli che mi hanno fatto provare tante emozioni, mi hanno messo a dura prova, anche perché hanno fatto dei film strepitosi e complessi da un punto di vista emotivo. Però per me difficile vuol dire “che bello, voglio farlo!” e non “è troppo difficile, non ci riesco”.