Sara Vitagliano è stata un’allieva della nostra Accademia e, dopo i nostri corsi, oggi è una doppiatrice professionista con diversi film e serie tv all’attivo. Conosciamola meglio con questa nostra intervista.
D. Com’è nato in te il desiderio di diventare doppiatrice?
R. La mia storia è un po’ atipica. Quando ero ragazzina con mio fratello giocavamo a doppiare gli attori nei film stravolgendo le battute in modo alquanto divertente e spesso osé. Mi chiedevo sempre con grande curiosità chi fosse a prestare la voce ai personaggi televisivi che guardavamo. Avrei dovuto capire che quello era un primo campanello d’allarme che segnalava la strada da intraprendere. Invece ho fatto altre scelte che mi hanno portata a Milano e a laurearmi in economia. Ma è stato proprio lì che il destino è venuto a ribussare alla mia porta… e questa volta aveva le sembianze di un dipendente di un servizio di telefonia. Un giorno le mie coinquiline mi chiedono di andare a fissare un appuntamento per il contratto Wi-Fi. Al negozio mi si presenta un ragazzo molto felice che consigliava a tutti di andare a fare il lavoro dei suoi sogni: il doppiatore. La sua estrema eccitazione mi ha portato a chiedere informazioni. Due giorni dopo ho chiamato l’Accademia del Doppiaggio, mi ha risposto Walter Bucciarelli, che sentendo la mia voce al telefono mi invitò a fare il provino. Da quel giorno ha avuto inizio la mia storia d’amore con questo splendido mestiere.
D. Racconta l’esperienza con l’Accademia del Doppiaggio e, se ti va, qualche aneddoto.
R. Il panico nel vedere una vera e propria sala di doppiaggio è da subito svanito grazie all’ambiente familiare dell’Accademia: dai miei compagni di corso, a chi ci accoglieva alla reception offrendoci caramelle gustose, dal nostro fonico super disponibile, ai nostri eccezionali insegnanti che con racconti e battute molto divertenti sdrammatizzavano la paura e il blocco del leggio. Ricordo aneddoti molto simpatici, ma forse meglio non raccontarli…
D. Raccontaci la tua prima esperienza in sala di doppiaggio.
R. “Divertiti”. Furono queste le parole del direttore durante il mio primissimo turno di doppiaggio. Difficile divertirti quando i battiti del tuo cuore possono essere uditi anche nella sala accanto. Chiesi di rivedere la scena più volte per cogliere al meglio le emozioni del mio personaggio, strinsi le chiappe e cercai di non pensare troppo a quello che stavo facendo. Spesso occorre concentrare le energie e semplicemente buttarsi.
D. Quali sono state le prime difficoltà che hai incontrato e come le hai risolte?
R. Personalmente una delle difficoltà più grandi fuori la sala è vincere la propria timidezza e chiedere ai direttori di poter assistere a qualche turno per poter imparare e magari essere provinati. Il giudizio e le critiche fanno paura , ma senza non avrei cacciato la grinta e perseveranza necessaria per intraprendere questo mestiere. In sala e durante i turni il mio più grande ostacolo è stata l’emotività. Credo che sia giusto e un punto di forza essere emotivi, ma è bene riuscire a canalizzare questa energia e saperla controllare per poter dare il 100%. Tanto studio e la “pratica casalinga” aiuta ad acquisire sicurezza e a sentirsi più a proprio agio al leggio. L’ importante è divertirsi, altrimenti non ha senso.
D. Quali sono le differenze nel doppiaggio di un film, di un documentario e di una pubblicità? Come si deve approcciare un doppiatore a questi tre tipi differenti di prodotto?
R. Credo che le differenze tra i tre tipi di prodotto sia scandita dai tempi. In un film puoi dedicarti maggiormente all’interpretazione e cercare di restituire una certa emozione. È personalmente più complesso ed è necessario vedere la scena più volte se lo si desidera. In un documentario o pubblicità i tempi sono ristretti e l’aspetto tecnico è decisamente dominante. In tutti e tre i casi comunque è importante restituire una verità.
D. Ti sei mai immedesimata fin troppo in un tuo personaggio?
R. Una volta mi è capitato. Doppiavo una ragazzina intrappolata in un tunnel che perdeva il suo papà. Sono uscita dalla sala nervosa e incupita.
D. Ti è mai capitato di doppiare, in uno stesso giorno, personaggi molto diversi tra di loro (magari una buona da una parte e un’assassina dall’altra)? È difficile o le tue emozioni restano confinate in quel preciso momento?
R. Mi è capitato di doppiare lo stesso giorno una bambina, un bambino e una signora di una certa età. Le tue emozioni inevitabilmente cambiano appena vedi il personaggio e senti la sua voce in originale. Se nella vita riusciamo ad essere arrabbiati, felici, tristi, grintosi o passivi in una stessa giornata, anche in sala se guidati saremo capaci naturalmente di cambiare e confinare le emozioni in quel preciso momento.
D. Rivedi i film che doppi? Se sì, che emozioni provi quando sei nella sala di un cinema, consapevole che tutti gli altri non sanno di essere seduti vicini alla voce che stanno ascoltando?
R. Spesso li riguardo per capire se potevo dare di più… penso sia istruttivo, ma onestamente non mi piace riascoltarmi… è strano ed emozionate al tempo stesso. Una volta al cinema sentendo la mia voce in un film di uno dei miei registi preferiti, avrei voluto alzarmi e dire “si, grazie, quella sono io”. Potrebbe sembrare patetico, ma dopo tanti sacrifici è una splendida soddisfazione e sensazione ed è giusto godersela.
D. Qual è il personaggio che ti è più piaciuto interpretare? E quale attrice vorresti doppiare in futuro?
R. I cartoni sono la cosa che più mi diverte doppiare. Il mio personaggio preferito è Trace Martez di “The Clone Wars”. Una vera combattente, apprendista pilota, un po’ pasticciona ma molto coraggiosa. Per quanto riguarda attrici in carne ed ossa ho amato doppiare Josette Halpert in “Antisocial 2”. Una maga dell’informatica. La mia è una voce che si presta a doppiare ragazze giovani, per cui mi auguro che una di loro faccia carriera, diventi la nuova Maryl Streep e venga doppiata da me.
D. Cosa ti piace di più del mondo del doppiaggio e cosa cambieresti?
R. Mi piace che ogni giorno puoi essere una persona diversa, vivere e restituire emozioni e colori differenti. Cosa cambierei… Forse regalerei più tempo alle lavorazioni. Spesso i tempi di consegna di un prodotto sono molto limitati e a volte non lo si cura come si vorrebbe. Come direbbe uno dei miei scrittori preferiti: “Le parole non bastano. E allora servono i colori. E le forme. E le note. E le emozioni.” E per questo c’è bisogno di rallentare e godersi ogni singola sfumatura.